Il vino? Una questione di stile

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Le vigne di Federico Faraone, cinquant’anni dell’Abruzzo più classico e tipico in bottiglia, una storia borderline tra le ondulate colline di Collepietro a Mosciano Sant’Angelo e Colleranesco di Giulianova

Di Jolanda Ferrara

Il massiccio del Gran Sasso, alle spalle, incornicia la vista sui vigneti. L’Adriatico teramano, a due passi con le sue brezze. In mezzo c’è una storia, quella che segue, che scalpita per essere raccontata. La storica cantina di Giulianova, tra le prime a imbottigliare Montepulciano, Trebbiano e Cerasuolo d’Abruzzo negli anni ’70, in mezzo secolo di vita trascorsa si è potenziata, evoluta. Pur conservando la dimensione famigliare. Impianto fotovoltaico impatto zero, cantina e bottaia sotterranea, piccola produzione di olio, laboratorio per le conserve di campagna, i nuovi impianti di vigne vecchie. E la nuova sala degustazione, il nuovo fiore all’occhiello. Una sala didattica da cinquanta posti a sedere è l’ultimo gioiello della casa-cantina di famiglia, da sempre strategicamente situata sulla Nazionale per Teramo. Passaggio obbligato e facile approdo per chi sale e chi scende l’Adriatico.

La nuova sala era già pronta a ricevere dallo scorso Natale, quando sarebbe stata presentata con una verticale in grande stile, “esperienziale”. Cinque annate di Trebbiano d’Abruzzo (teramano) a risalire dal 2019. Giallo dorato intenso da catturare lo sguardo, spalla acida, ph basso e grande freschezza, una sfida agli anni già trascorsi. L’esperienza è ancora rinviata. Primavera inoltrata o forse l’estate, quando finalmente cadranno le restrizioni anticovid ancora vigenti al momento che scriviamo. Della verticale esperienziale, si diceva. Esperienza che, anticipa ad Abruzzo Economia il padrone di casa Federico Faraone, enologo e vignaiolo, culminerà con il metodo classico ottenuto dalle stesse uve Trebbiano sulle cui fecce lo spumante è tenuto a riposare per 36 – 42 mesi. Una narrazione per intenditori e appassionati che attende necessariamente tempi più calmi e rassicuranti post pandemia.

Federico Faraone

E se il Trebbiano doc Santa Maria dell’Arco può ben dirsi punto d’orgoglio di casa Faraone, il rosso della stessa linea (Santa Maria dell’Arco è il nome di una vecchia cappella dove sorgevano i vecchi vigneti) non è certamente da meno. Un Montepulciano Docg dalle note evolute, affinato in botte, tannico e armonico al palato, un rubino che impreziosisce il collier Colline Teramane. “Siamo casa e bottega” racconta Federico, “quindi presenti sette giorni su sette, non vediamo l’ora di riprendere a pieno regime, ripartire dal sorprendente viavai della scorsa estate quando non solo i turisti in transito ma gli stessi abruzzesi hanno scoperto il territorio, i prodotti, i weekend enogastronomici tra mare, collina e montagna”. Quarantunenne, nato a Bologna, cresciuto in Emilia e poi spedito dal padre con meditata lungimiranza in Friuli – terra bianchista – ad affinare gli studi di enologia, Federico, dopo esperienze in Borgogna e in Nuova Zelanda e dopo avere lavorato per imprenditori come Bastianich e Farinetti è rientrato in pianta stabile in Abruzzo con la moglie Mariangela, friulana, laureata in tecnologie alimentari, conosciuta mentre gestiva una malga sullo Zoncolan e che oggi lo aiuta nell’accoglienza dei clienti. Lo affianca con il lavoro di marketing e comunicazione il fratello Alfonso, 38anni. “Con gli anni” rivela Federico con soddisfazione “abbiamo preso consapevolezza del valore del nostro Trebbiano o Passerina ovvero Trebbiano teramano, Trebbiano dorato o campolese che dir si voglia. Sulle sue capacità di evoluzione negli anni continueremo a puntare. La nostra nuova sala pensata per sessioni di degustazione, riunioni e incontri con merende gastronomiche deve servire a questo: chi arriva deve uscirne con una consapevolezza diversa, offriamo il racconto di una storia unica fatto in prima persona, cosa non diffusa né scontata che per noi rappresenta un plus, una questione di stile”.

“La fugace esperienza post lockdown della scorsa estate” dice ancora “ci ha confermato che in Abruzzo c’è tanta strada da fare, tanto lavoro. Il Montepulciano può funzionare da richiamo, in effetti è al nono posto tra le uve più conosciute al mondo, ma è necessario fare qualità, ad esempio non imbottigliando fuori regione. Di fatto all’estero percepiscono ancora, purtroppo, il vino Montepulciano d’Abruzzo col bottiglione e il tappo a vite! Bisogna crescere, fare più qualità e meno quantità e crederci di più, diminuire le rese, imparare a valorizzare quello che si ha e si sa fare, discorso da estendere poi a cerasuolo, bianchi e altri prodotti”. Una storia di famiglia in continuo divenire quella dei Faraone, aperti al nuovo, fedeli al territorio nel solco tracciato da Giovanni, e prima di lui da papà Alfonso che, negli anni ’30 iniziava la produzione e la vendita in damigiana nella proprietà acquistata da suo padre.

Da sinistra Alfonso e Federico Faraone

Figura di innovatore nell’Abruzzo del vino, Giovanni Faraone è stato il primo a spumantizzare, nell’83, in Abruzzo. Uva trebbiano del territorio teramano, passerina in purezza al cento per cento, gusto sapido e colore dell’oro, vocazione naturale all’evoluzione, filiera controllata dalla vigna alla bottiglia.

Non solo. Giovanni, insieme alla moglie Paola, è stato tra i primi vignaioli abruzzesi ad aprire le porte della sua azienda al nascente turismo del vino. In anticipo su molti a puntare sulle qualità del Montepulciano delle colline teramane e sul suo mosto fiore, il Cerasuolo oggi tanto ricercato. Talento di sperimentatore Giovanni, vignaiolo pioniere, l’antesignano, un ricercatore di verità fuori dagli schemi prestabiliti. Fino a ieri, luglio dello scorso anno, quando troppo presto è venuto a mancare. Non prima però di aver trasferito passione e imprinting a Federico e Alfonso. Identità, stile, unicità, tensione al progresso, rispetto del terroir, una visione umanistica dell’azienda, il suo insegnamento per il nuovo a venire. “Qualità della vita e del paesaggio umano” ripete Federico. “L’Abruzzo ne ha da offrire, tutto sta nel farlo riconoscere e saperlo valorizzare”. “Questa regione” considera Federico “è un territorio selvatico spettacolare dalle potenzialità ancora tutte da esprimere, prodotti di livello altissimo dal rapporto qualità-prezzo invidiabile, sorprendente. Tanta verità che ha solo bisogno di essere svelata”. “In tutto questo” chiude, “il vino è ciò che riflette la nostra filosofia: buono, pulito, corretto. Senza fronzoli, specchio del territorio. Il futuro? E’ consapevolezza. E’ rispetto dell’identità”.