Gianluca Berchicci, portfolio manager abruzzese nel mondo

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Gianluca Berchicci

Dalla Morgan Stanley all’hedge fund BlueCrest Capital Management, un viaggio nel mondo della finanza attraverso la carriera del pescarese Gianluca Berchicci

Di Raffaella Quieti Cartledge

Gianluca Berchicci, pescarese, dopo sedici anni trascorsi come direttore alla Morgan Stanley, dove ha lavorato nella City e nella Grande Mela, attualmente ricopre il ruolo di portfolio manager presso l’hedge fund BlueCrest Capital Management.
Basato a Jersey, con sedi a Londra, New York, Boston, Ginevra, Connecticut e Singapore e con 600 impiegati, è attualmente uno dei più grandi fondi di investimento in Europa. Ripercorrendo la brillante carriera di Berchicci, esploriamo con lui l’intricato mondo della finanza, dispensando anche utili consigli ai giovani lettori che intendono intraprendere una carriera di successo in questo competitivo settore.

Partiamo da una fase cruciale della sua carriera che coincide con l’inizio della crisi economica: il passaggio da Morgan Stanley al fondo di investimenti BlueCrest Capital.
«Quando ho lasciato Morgan Stanley (MS), nel 2010, ero il responsabile del trading desk
(ufficio transazioni) dei titoli di Stato emessi dai Paesi della zona Euro. Con MS ho lavorato per ben quattordici anni a Londra e due anni a New York, occupandomi di vari settori nella divisione fixed income (prodotti a tasso fisso, ad esempio obbligazioni), e nel corso di questo periodo, mi sono focalizzato su vari trading desk per sperimentare prodotti eterogenei (titoli, futures, swaps). Un anno prima della mia partenza, nel
2009, la Morgan Stanley era in forte difficoltà di liquidità come il resto del settore. Durante
la fase più acuta della recente crisi finanziaria (2009/2010), la maggior parte delle banche
dotate di portafogli di attività di un certo calibro, e quindi di grande indebitamento, si sono
trovate costrette ad accettare prestiti statali per rimanere in vita. Sono quindi state obbligate a ridurre notevolmente il loro portafoglio di investimenti. I banchieri, considerati per molto tempo i nemici pubblici numero uno, hanno subìto una forte pressione sull’esercizio della loro professione. Molte attività sono state ridotte per l’introduzione di nuovi parametri di controllo del rischio. Giustificati dal punto di vista macroeconomico, i nuovi vincoli hanno contribuito a far sparire alcuni ruoli. Il lavoro che facevo in precedenza è stato stravolto dalle nuove regolamentazioni, e questo mi ha portato a decidere di passare al mondo degli hedge fund. Rispetto alla realtà delle banche di investimento,
negli hedge fund come BlueCrest è presente un grado di dinamismo ed imprenditorialità molto più elevato. Ogni trader è chiamato a gestire tutti gli aspetti del proprio business, c’è dunque un senso di ownership molto più alto. A ciò si aggiunge una maggior libertà nelle scelte di investimento, pur nel rispetto di rigidi parametri di rischio».

Ci parli nel dettaglio di BlueCrest Capital…
«BlueCrest Capital è un fondo multi asset class altamente diversificato, grazie all’operare di un numero elevato di gestori specialisti in mercati/prodotti diversi. È questa diversificazione che consente al fondo di ottenere un risultato economico positivo. La mia “specializzazione”
è quella che in gergo si chiama “Relative Value”. In pratica si tratta di combinare in un’unica strategia di trading strumenti distinti (titoli, futures, swaps, opzioni), spesso scambiati su mercati diversi. Si tratta di un lavoro di grande libertà intellettuale, se mi consentite l’espressione. Bisogna avere una profonda conoscenza di mercati/prodotti diversi, in modo da riuscire ad individuare correlazioni nascoste e ricreare
sinteticamente un profilo di rischio-rendimento favorevole».

Sulla base della sua esperienza quali consigli può dare ai giovani che vogliono occuparsi di mercati finanziari all’estero?
«Innanzitutto, la buona conoscenza della lingua inglese è una condizione indispensabile. Durante gli anni della scuola superiore, ho studiato l’inglese privatamente, ed ho trascorso ogni anno un mese estivo in Inghilterra. Al tempo dell’università ho anche optato, tramite il programma Erasums, per un trimestre all’estero. Ci sono tanti modi per allenarsi ad imparare una seconda lingua. Anche il liceo classico, con lo studio del latino e del greco, mi ha aiutato a riconoscere pattern linguistici che mi hanno poi facilitato nell’apprendimento di lingue straniere. Un altro tassello importante è scegliere una buona università e farla bene. Meglio laurearsi con un voto non altissimo e in tempo, che andare fuori corso per prendere un voto più alto. All’estero il concetto di “fuori corso” non esiste e tra un candidato di 22 anni ed uno di 25, entrambi freschi di laurea, il primo sarà sempre avvantaggiato in un colloquio».

Come definisce il frenetico e competitivo ambiente dei mercati finanziari e come ci si può preparare per affrontarlo al meglio?
«È sicuramente un settore ad alta competitività e questo perché si tratta di un business globale in cui per la stessa posizione, soprattutto agli inizi della carriera, possono concorrere persone da tutto il mondo. Per esempio, quando ero alla Morgan Stanley, uno dei miei ultimi nuovi assunti fu un ragazzo di origine cinese. Molto sveglio e spigliato, dopo solo pochi mesi di training lo misi a “tredare” BTP italiani, pur non conoscendo praticamente nulla dell’Italia. Agli inizi della mia carriera, forse, per quel posto ci sarebbero stati solo candidati del Belpaese. Poi, se si vuole restare nel business, in particolare nel trading, la competizione è soprattutto con se stessi. Quando si ha a che fare con la rischiosità del mercato, si è davvero da soli. L’emotività è il nostro avversario, e
la si combatte con le armi della disciplina e dell’autocontrollo. A differenza di altri lavori,
nel trading l’esperienza della perdita è una condizione quasi permanente. Un trader che per
il 70% del tempo “fa soldi” è davvero bravo. Non conosco tanti altri campi professionali in
cui un tasso d’insuccesso del 30% rappresenti un obiettivo da conseguire. Un altro aspetto
importante di questa professione, a mio avviso, è la capacità di “step back”: fare un passo
indietro, osservare la situazione dall’esterno e riuscire a scaricare le energie negative che inevitabilmente si accumulano durante la giornata di lavoro. Inoltre, il concetto di
resilience, di capacità di ripresa da una perdita,è la chiave di questo mestiere».

 

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