Banca del Fucino, la banca dalla radici profonde
Una banca di prossimità, attenta al contatto diretto con famiglie e imprese. Intervista con Mauro Masi, presidente della Banca del Fucino che, in poco più di un secolo di storia, ha dimostrato la propria capacità di adattarsi a scenari in costante cambiamento. Evoluzione della banca dunque e uno sguardo alle possibilità di sviluppo della nostra regione.
Presidente Masi, come sta andando la Banca del Fucino e quali sono i suoi obiettivi a breve-medio termine?
«Siamo molto soddisfatti dell’andamento della Banca e del Gruppo. Il 2023 si è chiuso con un utile di oltre 20 milioni. Tutti i principali indicatori sono in forte crescita, a partire dal prodotto bancario (+22 per cento) e dal margine d’intermediazione (+53 per cento). L’andamento dei primi mesi del 2024 ci consente di confidare in risultati ancora migliori per l’anno in corso.
Nel 2023 abbiamo anche accresciuto la nostra capitalizzazione di oltre 50 milioni, nel contesto di un aumento di capitale autorizzato da Banca d’Italia. Abbiamo continuato e continueremo ad accrescere la nostra dotazione di capitale nel corso del 2024. Si tratta di capitali che ci serviranno per sostenere l’espansione ulteriore dell’attività e anche per sfruttare occasioni di crescita per linee esterne».
Il sistema bancario è periodicamente sotto i riflettori. Qualche anno fa lo si rimproverava per la restrizione del credito, oggi lo si accusa di fare troppi profitti. Come vede la situazione dal Suo osservatorio?
«Il sistema bancario italiano ha vissuto anni di tassi negativi in termini reali: in quegli anni fare credito non era redditizio e il credito alle imprese diminuiva. Dal 2020 l’attività creditizia ha ripreso a crescere, da un paio d’anni i tassi sono tornati in terreno positivo, e le banche hanno ricominciato a fare utili con l’attività creditizia. Questo è molto importante, per il semplice motivo che le nostre imprese – salvo pochissime aziende quotate – si finanziano attraverso l’attività creditizia e non sul mercato dei capitali. La funzione delle banche tradizionali, e in particolare di quelle radicate sul territorio, è insostituibile. Semmai il problema è che le banche e le filiali bancarie sono diventate troppo poche.
Da una situazione di overbanking dei primi anni Duemila siamo passati a una debancarizzazione di fatto in molti territori, tra cui l’Abruzzo, dove il 12% dei Comuni non ha sportelli bancari. Siamo passati, solo negli ultimi 8 anni, da 12 banche a 7 (-42%)
e da 628 sportelli a 407 (-355). Mi sembrano cifre che parlano da sole».
E la Banca del Fucino come interpreta la sua presenza in Abruzzo?
«Noi abbiamo fatto una scelta in controtendenza: quella di confermare e consolidare la nostra presenza sul territorio. In termini di risorse professionali e in termini di rilancio dell’attività creditizia. Dal 2020 al settembre di quest’anno il credito della Banca del Fucino alle imprese abruzzesi è cresciuto di oltre il 150%, a fronte di una media di sistema che ha visto un calo del 2,7%.
Ma voglio dire una cosa: l’apporto che una banca può dare al territorio non si esaurisce nell’attività creditizia. Non meno importante è la capacità di consigliare le imprese in scelte cruciali per il loro futuro. E anche conoscere il territorio, capire in quale direzione vanno le dinamiche economiche e porre questi elementi di conoscenza a disposizione di chi può decidere come meglio indirizzarle. In quest’ottica, alla fine dello scorso anno, abbiamo impegnato l’Ufficio Studi della nostra Banca su una ricerca sull’economia abruzzese che abbiamo presentato presso la sede del Consiglio Regionale abruzzese. Essere banca del territorio è anche questo».