L’impresa di rinascere
Grazie al progetto Eva Patch, realizzato dalla Bio Cantina Orsogna e promosso dall’Associazione Dafne, le donne vittime di violenza hanno la possibilità di iniziare un percorso di rinascita. L’intervista a Felicia Zulli, responsabile dell’Associazione Dafne.
L’incontro con Felicia Zulli è uno di quegli incontri che lasciano il segno. Rossetto rosso, colore simbolo della prevenzione di genere, ed occhiali scuri che non toglie quasi mai. Voce pacata ma ferma. Sottile e carica: di racconti, testimonianze e dolori che tolgono il fiato. Lei, Felicia, Licia per gli amici, di fiato ne ha ancora tanto ed è per questo che non smette mai di dare respiro a progetti di rinascita per le donne vittime di violenza.
«Quando le donne ci contattano – esordisce al nostro appuntamento su Zoom – hanno perso completamente la loro autostima e noi cerchiamo, soprattutto attraverso il lavoro dell’equipe, di offrire loro una via d’uscita a lunghi vissuti di violenza. Un aspetto fondamentale della nostra attività è l’inserimento lavorativo, poiché molte delle donne che si rivolgono a noi necessitano di ricostruire la propria autonomia economica e personale. Per questo motivo abbiamo attivo un percorso di inserimento lavorativo in ogni centro antiviolenza per aiutare le donne ad orientarsi nel mondo del lavoro e a ritrovare fiducia nelle proprie capacità. Molto spesso sono donne che si trovano a fare i conti con una bassa autostima e noi le accompagniamo, in punta di piedi, a ritrovare i loro sogni nel cassetto».



Felicia di cosa si occupa Dafne?
«L’Associazione Dafne gestisce tre centri antiviolenza a Lanciano, Vasto e San Salvo. Offriamo supporto alle donne vittime di abusi attraverso assistenza psicologica, sociale e legale».
Uno dei vostri progetti più importanti è Eva Patch, nato in collaborazione con la Bio Cantina di Orsogna. In che cosa consiste?
«Eva Patch è un’iniziativa nata grazie a un finanziamento nazionale per l’inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza che ha visto coinvolti quasi tutti i centri antiviolenza regionali, con Vasto come Comune capofila. Ogni centro ha individuato una serie di aziende che si occupavano, prevalentemente, di empowerment femminile delle donne vittime di violenza e, tra queste, c’era anche la Bio Cantina di Orsogna. In quel periodo stavamo seguendo tre donne ed ecco qui che nasce il progetto Eva Patch, una linea di etichette per vini realizzate con stoffe riciclate. Oggi il progetto Eva Patch è terminato ma la cantina ha voluto comunque proseguire con una linea dedicata di vini. Una delle tre risorse in tirocinio è stata stabilizzata e, attualmente, fa da accompagnamento ad altre donne».
Quali sono le principali difficoltà che incontrate nel reinserimento lavorativo delle
donne vittime di violenza?
«Per molte donne il lavoro rappresenta un passaggio fondamentale per ricostruire la propria autostima. Anche il solo viaggio per recarsi nel luogo di lavoro può essere terapeutico, si opera sempre sul sottile crinale del superamento dei propri limiti e della valorizzazione delle proprie risorse. Dall’altra parte, alcune aziende sono restie ad accogliere donne in difficoltà e, allo stesso tempo, molte di loro hanno un’autostima talmente bassa che fanno fatica ad adattarsi a un ambiente aziendale. Nonostante questo, il progetto Eva Patch è diventato un simbolo di riscatto: ogni etichetta realizzata rappresenta una conquista personale e un passo verso l’indipendenza. A tal punto che, per le donne che ci lavorano, queste etichette devono essere bellissime e non possono presentare imperfezioni, diventando così una sorta di rewashing della propria vita».
Oltre agli aspetti lavorativi, quali sono le criticità più delicate che affrontate?
«Uno degli aspetti più complessi è la protezione delle donne da ex partner violenti. Alcune di loro vivono in situazioni di grave pericolo e necessitano di essere ospitate in luoghi sicuri. In questo senso, la collaborazione con il carcere di Vasto, che ha al suo interno un piccolo laboratorio sartoriale in cui lavorano i detenuti, si è rivelata preziosa: ci ha permesso di offrire un ambiente protetto in cui alcune donne possono lavorare senza rischi».
Si parla spesso di indipendenza economica come chiave per uscire dalla violenza. Lei cosa ne pensa?
«Il lavoro è fondamentale perché identitario. I percorsi più belli, di reale rinascita, passano sempre per il lavoro e per la casa. Oggi, i dati ci dicono che aumenta la percentuale di donne vittime di violenza con titoli di studio e carriere avviate. Il vero problema, nelle relazioni violente, sta nel fatto che la donna non è libera di autodeterminarsi. Questo dimostra che dobbiamo lavorare, soprattutto, sull’educazione e sulla prevenzione, per insegnare alle nuove generazioni a fare i conti con sé stessi e ad entrare in contatto con le proprie reali emozioni».
Per saperne di più
BIO Cantina Sociale Orsogna: https://www.biocantinaorsogna.it/vini-eva-patch/
Articolo a cura di Maura Di Marco