Rosso da amare

0
2244

«Ci cercano per la qualità del nostro prodotto, per questo l’ho chiamato Rosso da amare. Una volta provato lo ami e non lo lasci più». Parola di Franco Flagella, che ci racconta una storia “Made in Italy” baciata dal sole del sud

Di Jolanda Ferrara

«Ci conoscono tutti» si compiace Franco Flagella scrollando sulla sua pagina Fb del suo Rosso da amare i volti dei molti vip deliziati dal suo pomodoro. Sophia Loren, Sharon Stone, Andrea Bocelli, Alex Del Piero, tutti catturati dalla succosa avvolgenza di quei datterini rossi e gialli allevati nella sapida terra garganica e confezionati con cura maniacale nell’azienda di famiglia a Castel di Sangro (AQ). Casa e lavoro tutt’uno, a due passi dal tempio della cucina stellare di Niko Romito e dalla sua emanazione pop sulla statale 17, nel cuore del selvaggio Appennino abruzzese sulla via per Napoli, un distretto gastronomico che si va animando di nuove perle e frequentatori per nulla distratti.

«Ci cercano per la qualità del nostro prodotto» riprende Franco, «per questo l’ho chiamato Rosso da amare, una volta provato lo ami e non lo lasci più. Il vecchio sistema del porta a porta vince sul marketing di nuova generazione». Verità da quattro anni a questa parte, cioè da quando Franco con la moglie Sonia e la sorella Teresa hanno deciso di alzare il tiro consapevoli della strepitosa qualità del pomodoro coltivato dal papà di Franco e Teresa, Ciro Flagella, intraprendente e importante grossista di ortofrutta che «comprava il raccolto quand’era sulle piante».

Arrivato in alto Sangro negli anni ‘60 da San Giovanni a Teduccio (Napoli Est), Ciro, peraltro adulato da Gualtiero Marchesi ma senza successo, aveva voluto impiantare sulle sponde del Sangro un laboratorio di trasformazione di sanmarzano e pomodorini del Gargano. Un punto di forza dell’azienda è ancora il grande passapomodoro fatto costruire appositamente, a Parma, su precise indicazioni di Ciro. «Un arnese ancora attuale, brevettato» rivela Franco, subentrato nel ruolo di titolare alla scomparsa del padre. Un anticipatore, Ciro Flagella, il brand aziendale non poteva non conservarne il nome.

Quadruplicati i numeri della produzione «per poter penetrare un mercato di fascia altissima» pur conservando l’originaria identità artigianale della produzione, oggi l’azienda sangrina è tesa a quintuplicare i quantitativi, conquistare la ristorazione gourmet in tutte le sue espressioni e scalare le vette della critica di settore. Colpiti dalle qualità organolettiche del prodotto si sono già detti Gambero Rosso, Extraordinary Food&Wine di Venezia, Merano Wine Festival, il network Chef Award, Euro Toques Italia, Casa Sanremo. Forza di un passaparola ormai inarrestabile, «la strategia di vecchio stampo vince» gongolano i Flagella. «Ci conoscono tutti, sono loro a invitarci» ripetono sicuri del fatto loro, l’agenda zeppa di appuntamenti, continui spostamenti, contatti da prendere, nuovi progetti. E tanto lavoro da curare in prima persona. «Quest’anno raccolto eccezionale per un prodotto da corsa, rosso Ferrari se si può dire, comunque un pomodoro rosso vivo acceso, profumato, polposo, impossibile restare indifferenti. Senza dimenticare il rapporto qualità prezzo sicuramente competitivo. Puntiamo all’élite per forza di cose, non siamo un’industria, non facciamo grandi numeri, curiamo il dettaglio».

Pomodorini e datterini diventati glam dall’oggi al domani, ricercati dai vip, dal fine dining alla charity d’elite. Tutto così lontano e così vicino. Persino al cinema. Il pomodoro rosso e puro di Flagella è protagonista del cortometraggio “La ricetta della mamma” tratto da un racconto di Giorgio Faletti e diretto da Dario Piana per la Orlantibor di Roberta Bellesini Faletti, interpretato da Giulio Maria Berruti e Andrea Bosca. Passato in concorso a Cannes, premio per il miglior soggetto al festival nazionale Videocorto Nettuno, in corsa per il miglior montaggio alla prima edizione dell’Elba film festival.

Il segreto di tanto successo? Tutto naturale. Eccellenza della materia prima, lavorazione accurata e garantita dal “Made in Italy” compresi vetro, coperchi e cartoni di spedizione. Tracciabilità di filiera fino al consumatore finale. «Vogliamo sapere in quali mani finisce il nostro prodotto, questo ci ha spalancato le porte delle più importanti cucine italiane» raccontano con orgoglio Franco e Sonia, «il traguardo finale sarà la certificazione bio totale, produzione e lavorazione altrimenti non vale».

LEAVE A REPLY