Intervista al rettore della Luiss, Andrea Prencipe

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Andrea Prencipe, rettore Luiss Guido Carli

«All’Abruzzo suggerisco di innovare senza paura con curiosità, coraggio e visione»

Di Maura Di Marco

Abbiamo intervistato Andrea Prencipe, pescarese di adozione, nominato rettore di una delle Università più prestigiose di Italia, la Luiss Guido Carli di Roma. Un hub che collega le frontiere di tutto il mondo, dove sta per nascere uno spazio dedicato alla cultura cinese e sono favoriti scambi internazionali con ragazzi sotto protezione. Uno dei tanti luoghi di sapere dove l’80% dei laureati trova lavoro ad un anno dal titolo, con punte del 90% per i laureati del dipartimento di Impresa e Management.

Parliamo delle novità del prossimo mandato da rettore: quali sono gli obiettivi della Luiss?

«Il mio mandato di rettore sarà all’insegna della continuità nel cambiamento: mantenere continuità e introdurre elementi di cambiamento costituiscono la dimensione strutturale e strutturante delle organizzazioni resilienti, ovvero di quelle organizzazioni che riescono a prosperare anche in situazioni altamente competitive e di grande incertezza e quindi a continuare a perseguire le funzioni essenziali caratterizzanti il loro funzionamento. L’organizzazione resiliente è capace di cogliere le opportunità che si celano nelle sfide, combinando virtuosamente tradizione e innovazione per evitare di cadere nella trappola del tradizionalismo o del nuovismo. Con il piano strategico 2018-2020 la LUISS si è posta un obiettivo molto ambizioso: diventare una delle migliori università europee di scienze sociali. Lo faremo continuando a cambiare: in primo luogo accentuando l’internazionalizzazione della LUISS, rafforzando nello stesso tempo la sua vocazione nazionale».

Cosa sta facendo l’Ateneo per collegare i giovani al mondo del lavoro?

«Stiamo lavorando su una offerta formativa che anticipi l’evoluzione dei mestieri e dei saperi. Abbiamo co-progettato insieme a partner industriali – sia grandi, sia piccole imprese – una laurea triennale in Management & Computer Science che è partita in questi giorni e che ha l’obiettivo di formare “manager aumentati” che siano in grado di gestire le sfide della rivoluzione digitale. Questa Laurea Triennale ibrida conoscenze di informatica e data analytics con le fondamenta di economia, diritto e marketing, ed ha l’obiettivo di formare professionisti in grado di comprendere i nuovi linguaggi dell’economia 4.0. Abbiamo anche lanciato diverse iniziative post-lauream sul tema digitale – come ad esempio, il Master sulla Cybersecurity, Master sull’analisi e la gestione dei Big Data – per rispondere alle esigenze di un mercato del lavoro in continua evoluzione. Parte integrante della nostra offerta formativa sono gli oltre 2.000 tirocini e opportunità di formazione in collaborazione con imprese e istituzioni che offriamo ogni anno ai nostri studenti, già dai primi anni di università. Ad oggi l’80% dei laureati LUISS trova lavoro ad un anno dal titolo, con punte dell’90% per i laureati del Dipartimento di Impresa e Management e la percentuale di coloro che lavorano all’estero è passata da 5 al 10% negli ultimi due anni».

Quale riforma suggerirebbe al governo su scuola e università?

«Le università non sono più il luogo esclusivo di produzione del sapere, le università sono uno dei luoghi della produzione del sapere. Stiamo assistendo ad un importante cambio di paradigma: la conoscenza è prodotta in maniera distribuita e diffusa, non solo dalle accademie, ma anche da imprese, istituzioni, PA. Il modello di università cui LUISS si ispira è quello di un’università che si relaziona virtuosamente con gli altri attori del processo di generazione del sapere. Il modello cui ci ispiriamo è quello della engaged university, ovvero della università “connessa” con gli attori principali ma che si erge a ruolo guida nel processo di co-produzione della conoscenza. È fondamentale quindi promuovere un confronto diretto tra i protagonisti del processo educativo nel rispetto dei ruoli di ciascuno».

Data la sua preparazione sui temi di innovazione ed organizzazione, se potesse designare un modello italiano per l’innovazione come lo farebbe?

«Tracciare su carta le coordinate di un modello italiano per l’innovazione in grado di affrontare le sfide del futuro, dalla digitalizzazione alla sostenibilità, non è assolutamente semplice. È possibile tuttavia identificare un approccio di base che può informare lo sviluppo di un modello per l’innovazione. L’approccio è quello dell’Open Innovation proposto e studiato da Henry Chesbrough (Haas School of Business, University of California, Berkeley). Chesbrough sostiene che dagli anni ’90 in poi stiamo assistendo ad una transizione da un approccio chiuso di innovazione ad un approccio open. Secondo l’approccio chiuso, le organizzazioni gestivano l’innovazione dall’idea al mercato all’interno dei propri confini e con una interazione minima con altri attori economici ed industriali: in altri termini le organizzazioni si limitavano ad utilizzare la conoscenza prodotta internamente a fini innovativi e non cercavano di reperire e/o assimilare conoscenza prodotta da organizzazioni esterne. Nell’approccio open invece idee, informazioni e conoscenze rilevanti per l’innovazione possono essere anche prodotte all’esterno delle organizzazioni. In altri termini, nell’approccio dell’Open Innovation per produrre innovazione le imprese devono combinare conoscenze ed informazioni originate sia all’interno dei propri centri ricerca, sia generate da altre organizzazioni».

Cosa suggerirebbe all’Abruzzo, regione così vicina eppure per certi versi così lontana al Lazio, ed al suo sistema scolastico?

«Suggerirei di adottare un approccio open per creare sinergia con il territorio e con gli attori che lo animano. Dalle scuole alle università, il mondo della formazione deve aprirsi alle esigenze reali della società. Collaborazione e condivisione tra mondi diversi per co-generare saperi e soluzioni innovative di sviluppo. La chiusura non permette opportunità di crescita. E questo deve valere anche per un piccolo comune, una provincia, una regione. Senza aver paura di innovare con curiosità, coraggio e visione».

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