Una regione incagliata

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Crescono in tutta Italia le attività legate all’economia del mare: sempre più basse, invece, le aspettative in Abruzzo. A indagarne le cause, il direttore del Porto Turistico Marina di Pescara, Bruno Santori

Di Maura Di Marco

L’economia del mare è una risorsa che genera ricchezza, occupazione ed innovazione secondo un modello collaborativo e sostenibile. Il mare unisce settori e tradizioni diversi in un tessuto imprenditoriale diffuso che può essere una leva straordinaria per il rilancio dell’Italia e, anche, se vogliamo, dell’Abruzzo. Il mare produce nuove opportunità per i giovani e le donne: al sud sono 10.719 le imprese capitanate dagli under 35, ben il 12% sul totale delle aziende legate a questa economia; il 22,3% quelle in rosa. Dati che non devono stupire considerato che si parla, soprattutto, di attività sportive e ricreative, riguardanti servizi di alloggio e ristorazione, e filiera ittica sportive.

Il mare, con il suo moto perpetuo, riflette un cielo di nuove speranze che, se osservate bene, possono condurre verso orizzonti lontani. Si tratta, infatti, di un settore che cresce del 2,5% rispetto al 2016 e del 10,5% rispetto al 2011, con ben 194.516 aziende presenti nei Registri delle imprese delle Camere di commercio al 31 dicembre 2017 (3,2% del totale tra costa ed entroterra).

Il turismo marino esprime quasi due terzi della Blue economy (115mila imprese, somma
di ricettività, ristorazione e attività sportive e ricreative). Seguono filiera ittica (quasi 34mila imprese, 17,3% del totale) e cantieristica (27mila, 13,9% del totale).

La Liguria si conferma la regione in cui l’economia del mare ha il peso più elevato sul tessuto imprenditoriale locale (9,2% del totale).Altre sei regioni superano la soglia del 4% (circa un punto percentuale al di sopra della media nazionale): tre nel sud (Sardegna, Sicilia e Calabria, rispettivamente 5,8%, 4,8% e 4,5%, a cui si aggiunge la Campania con 4,0%) e due nel centro (Lazio e Marche, 5,4% e 4,5%). Sono questi i dati elaborati dal servizio Studi economici e statistici di Si.Camera, contenuti nel VII Rapporto nazionale sull’economia del mare e diffusi nella quattro giorni di Sottocosta, il Salone nautico organizzato dalla Camera di Commercio Chieti Pescara e dal Porto Turistico Marina di Pescara, giunto alla sua sesta edizione. Se a livello nazionale si verifica un lieve arretramento della filiera ittica e della cantieristica, molto positive invece sono le prospettive legate al turismo ed alle attività di ricerca e regolamentazione. In questo quadro “quasi” idilliaco, dell’Abruzzo non c’è traccia, nonostante l’80% del suo profilo sia composto di costa, sebbene vanti un’ottima posizione strategica, tra il Lazio e la Croazia, e contempli una forte dotazione infrastrutturale.

Dell’arretratezza dell’Abruzzo, da questo punto di vista, ne parliamo con Bruno Santori, Raccomandatario Marittimo, docente del Master di secondo livello in Diritto ed economia del mare dell’Università d’Annunzio e della Camera di Commercio Chieti Pescara, e direttore del Marina di Pescara. «I porti di Ortona e Vasto seguono l’andamento nazionale con una buona movimentazione merci, diventando un punto di riferimento importante per le aziende che vi gravitano intorno. Hanno sicuramente una rilevanza regionale, svolgono egregiamente una funzione di hub logistico per i bacini commerciali ed industriali che li circondano e sono in attesa di nuovi ed ampi investimenti infrastrutturali, soprattutto dal punto di vista dei fondali. L’arrivo di navi più grandi comporterebbe, infatti, tonnellaggi maggiori; un costo unitario della merce più basso alzerebbe di sicuro la capacità di penetrazione nel territorio. Il porto di Pescara, invece, per le note vicende  legate all’insabbiamento dello stesso e la parziale attuazione del piano regolatore portuale, non vede movimentazione merci da anni. Abbiamo, così, assistito ad un’ecatombe silenziosa di aziende e posti di lavoro».

La vocazione naturale del porto di Pescara sarebbe potuta essere quella turistica ma, con la perdita dei collegamenti della Croazia, il settore dell’economia del mare, che vanta il moltiplicatore più alto per ricaduta economica, si è praticamente inginocchiato ad incomprensibili logiche politiche «che li considerava» denuncia Santori «un modo di mandare gli abruzzesi in vacanza quando invece si trattava di una vera e propria infrastruttura. Oltre alla incapacità degli enti competenti nel dare risposte rapide alle problematiche del porto di Pescara, ci si è scontrati con un diffuso pregiudizio da parte, anche, di alcune categorie produttive che hanno sempre guardato con diffidenza il sostegno ai collegamenti marittimi. Eppure, la perdita che ne è scaturita» continua «non colpisce solo il settore dei servizi ma l’indotto commerciale dell’intera regione». Un buon esempio sul turismo blu arriva da Ortona che vara un timido, seppur importante, traffico crocieristico. Un esempio di crociera taylor made rivolta ad una particolare clientela con tour a terra confezionati ad hoc. Un’onda che Pescara potrebbe cavalcare se riuscisse a conquistare un porto con una maggiore agibilità, sfruttando in  pieno la sua posizione tra Ancona e Bari.

Anche il porto turistico Marina di Pescara, di cui Santori è appunto direttore, è oggetto di una riforma di legge che trasforma i marina resort in veri e propri approdi turistici con ricadute positive sull’economia del mare. Ma la “chiglia” della riforma si incaglia su quella sabbia così difficile da smaltire. «L’insabbiamento del porto turistico è un problema che ricade solo sull’amministrazione del Marina senza che ci sia mai stata sinergia con un ente locale. Con l’apertura della diga foranea – conclude Santori – abbiamo assistito ad un incremento della velocità di insabbiamento dei fondali senza avere la possibilità economica di effettuare dragaggi più frequenti. Le imposte, negli ultimi anni, sono aumentate del 400% (solo l’IMU costa 200mila euro l’anno): tutte risorse che, ahinoi, vengono sottratte alla gestione dei servizi legati alla portualità».

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